È sempre difficile scindere l’uomo dal professionista, riuscire a isolare l’essenza al di fuori dal contesto lavorativo. Con Michele Mignani, però, è tutto più facile. E proviamo a farlo a quasi ventiquattrore dal suo esonero, una decisione presa da Ciro Polito in persona e comunicata all’ormai ex tecnico biancorosso poco dopo le 14.00.
Mignani e Michele
Un tecnico bistrattato da molti, che non hanno mai perdonato il suo pragmatismo. Un tecnico accusato di avere poco coraggio, di chiudersi a riccio, di non osare coi cambi, di essere fin troppo guardingo. Per alcuni il Bari dell’anno scorso ha fallito arrivando “solo” terzo: avrebbe dovuto centrare la Serie A in scioltezza. Per altri andava esonerato dopo Campobasso, quando il suo Bari cadde per mano di Liguori e vide riavvicinarsi dal Catanzaro. Insomma, Mignani non ha mai riscaldato il palato fine dei tanti intenditori di calcio che popolano Bari e la penisola intera.
La ferita aperta, mai chiusa, quell’11 giugno e quel gol di Pavoletti. Mignani accusato di aver fatto 95′ minuti in difesa, di aver consegnato la sua squadra all’avversario per difendere lo 0-0, di non aver osato, di essersi impaurito fin troppo, di aver messo troppo tardi Folorunsho, di aver tenuto in campo Cheddira e tolto Esposito e così via. Insomma, ancora una volta – come spesso è capitato in questi due anni e mezzo in Puglia – ha assunto i panni del capro espiatorio, soprattutto della mancata promozione.
Michele, però, (perdonaci se ti chiamiamo così) lui sì che ha conquistato tutti. Un uomo vero, una persona squisita che chiunque vorrebbe avere nella propria vita. Michele è quella persona che in conferenza scherza dicendo «ti rispondo con una battuta», ma anche quella che con un aplomb da film d’azione ammette di aver vissuto con amarezza quelle settimane post Cagliari, quando si scriveva sui social di un tecnico sfiduciato, delegittimato, svuotato di motivazioni e ormai destinato a salutare con il toto-nome che impazzava.
«Come posso non avere il fuoco dentro, come posso non voler stare a Bari e riprovarci» ci ha confessato quest’estate Michele con un furore che poche volte abbiamo visto negli occhi di qualcuno. «Mister, ma lo sa com’è la piazza barese – la nostra risposta -. La accusano di essere un poco coraggioso…Che effetto le fa?». E Michele scoppia a ridere! «Ma scusate – ci risponde -. Come posso essere poco coraggioso se ho chiuso col secondo miglior attacco del campionato, ho portato Cheddira in doppia cifra, Folorunsho e Antenucci… Mi viene da sorridere solo a pensarci».
Michele è così, è uno che sa alternare il bastone alla carota, che quando c’è da bacchettare lo fa senza problemi. «Mister, ma non è un po’ seccato da questo ritiro con tutti gli esuberi e i soli Menez, Faggi e Nasti come nuovi?» gli chiediamo. «Certo, sarei stato più felice se in questo ritiro avessi avuto più giocatori a disposizione, ma le dinamiche del calcio moderne sono queste… Che ci posso fare? Io sono felicissimo di allenare questi ragazzi» ci risponde.
Dall’estate all’addio di Mignani
Quello che però allora Michele non poteva immaginare è che il giocattolo si era rotto. Il club, che a parole doveva essere scottato dalla delusione e sospinto dalla rivalsa, ha rivoluzionato quel gruppo (forse eccessivamente), privando il povero Mignani dei giocatori più determinanti della sua creatura. Giocatori ritornati alla casa madre, bandiere ammainate e ragazzini che hanno chiesto la Serie A: un mix che ha portato Mignani a perdere i cardini della sua squadra. Quella stessa squadra che Maiello, quasi ammainando la bandiera, ha ammesso di «non essersi ancora formata».
La società, che risponde al nome di Ciro Polito, non ha pensato bene di sostituire tempestivamente questi tasselli, ma anzi ha optato per una soluzione alla spicciolata, con il Bari che nel frattempo faceva figure barbare col Parma e iniziava il suo campionato con gli uomini contati. E quei giocatori portati alla fine negli ultimi giorni di mercato ad oggi non hanno dimostrato nulla di nulla.
Nel calcio, si sa, quasi sempre è il tecnico a pagare dazio quando le cose non vanno. Mignani allora paga colpe altrui. Certo, come abbiamo più volte scritto non per ultimo domenica sera, il tecnico è stato anche artefice del suo destino. Domenica dopo domenica analizziamo le mosse dell’allenatore nella rubrica Il Bari a Scacchi e poche volte abbiamo sottolineato un canovaccio tattico convincente. Ma una tale pochezza è condizionata principalmente dalle scelte della società, che ha portato il tecnico ad avere difficoltà immani nel trovare soluzioni ai problemi della sua squadra.
Ecco allora che il cambio di guida tecnica è diventato l’unica opzione sul tavolo del direttore, scottato da un atteggiamento giudicato fin troppo passivo. La goccia che ha fatto traboccare il vaso, forse, quel cambio Matino-Diaw all’intervallo di Reggiana-Bari, con Mignani che poi ha chiuso la partita con Bellomo, Sibilli e Morachioli in avanti. E forse anche le parole nel post partita hanno avuto il loro peso.
Ciao Michele, sei un uomo vero!