Marino Defendi è uno dei calciatori più importanti della storia del Bari. Il tuttofare bergamasco ha indossato la maglia biancorossa 171 volte, dal 2011 al 2016, portando anche il peso della fascia di capitano. A lui sono legati indissolubili ricordi: dagli anni bui con Torrente, alla memorabile meravigliosa stagione fallimentare, fino al triste finale nell’era Paparesta-Giancaspro e la cessione alla Ternana, altro pezzo del suo cuore. L’attuale calciatore della Narnese, in Eccellenza umbra, si è raccontato ai nostri microfoni, in un viaggio nel passato che tocca anche il presente del suo Bari.
L’intervista a Defendi
Marino Defendi, da quanto manca a Bari?
“Da diversi anni, ma faccio fatica anche a scendere d’estate. Mi sono ripromesso che quest’anno a giugno devo tornarci. Adesso sono qui a Narni, sto bene. Ho preferito questa scelta ad altre, per via comunque di tante motivazioni. È un’esperienza nuova anche questa, sta andando bene, si procede piano piano”.
Ma davvero non le manca il mare di Bari e la pesca?
“Beh sì, la pesca al mare mi manca. Ormai pesco solo in lago, anche se quello lo facevo già prima, il carpfishing. Quindi ho continuato quel tipo di pesca, era inevitabile”.
Che cosa ha rappresentato la tappa barese nella sua vita?
“Bari è stata ed è comunque una parentesi importantissima, non solo della mia esperienza calcistica, ma proprio dell’esperienza di vita. Perché comunque a Bari, effettivamente, ci ho lasciato il cuore, al di là del campo, delle emozioni che si sono provate nei 5 anni. Ho conosciuto gente che poi sono diventati e sono tuttora amici, persone che sento sempre. Questo penso che vada oltre l’aspetto calcistico”.
Defendi è stato per diverso tempo capitano. Che vuol dire portare la fascia al braccio in una città come Bari?
“Beh, essere capitano in una piazza come Bari penso che sia un ruolo importante, con cui ti riempi d’orgoglio, perché questa è una piazza importantissima. Essere capitano non ha prezzo. Non ho mai avuto dubbi, non mi è mai pesata la fascia, anzi l’ho sempre presa come un orgoglio, un qualcosa da portare a testa alta”.
Adesso c’è il suo amico Di Cesare con la fascia al braccio.
“Valerio per me è la persona più adatta, senza ombra di dubbio, a essere il capitano del Bari. Perché è una persona integra, una persona che soprattutto sa quello che fa, ma soprattutto sa cosa significa essere capitano del Bari. Sebbene sia da tanti anni lì, non è mai un’uscita una parola fuori posto, è sempre stato sul pezzo, sia che gioca o non gioca, è sempre stato un trascinatore. È stato quello che ha scelto di rimanere a Bari anche nel momento di difficoltà e questo penso che la dica lunga. Fondamentalmente si sente barese, perché se no una scelta così di vita non l’avrebbe fatta”.
È il 2011, inizia l’avventura di Defendi col Bari. Si apre il ciclo Torrente, annate difficili. Che le hanno lasciato?
“Anni dove abbiamo vissuto esperienze molto negative, anche se la società comunque è sempre stata al nostro fianco e non c’è mai mancato niente. È chiaro questo, però a livello di federazione, punti di penalizzazione, non è mai stato facile, ma abbiamo imparato e ho imparato a soffrire e a non mollare mai. Sempre fino alla fine, anche di fronte a così tanti problemi. Io sono sempre stato dell’idea che comunque la stagione fallimentare sia stato un coronamento di tutti quegli anni, di tutte quelle sofferenze. Aver vissuto quell’anno è stato sicuramente il finale di quel percorso, che era partito così e così, ma poi si è tramutato in quello che ormai tutti sappiamo”.
Che rapporto aveva con Angelozzi?
“Il direttore è stato un secondo padre per me, perché comunque mi aveva tirato fuori da una situazione un po’ scomoda all’Atalanta, mi aveva portato a Bari e lo ringrazierò sempre per tutta la vita. Ogni volta che ci sentiamo, che ci siamo incontrati, non manca mai di parlare sempre di quella bellissima esperienza che è stata a Bari. Quest’anno sta facendo benissimo, anche in Serie A dimostra che è un grandissimo intenditore di calcio. Solo uno stupido direbbe il contrario, anche perché dovunque è andato è andato ha sempre fatto bene”.
Quella foto sotto al bidone dell’immondizia col suo cane è iconica.
“Una trovata che nasce con Daniele Sciaudone. Praticamente da poco eravamo falliti e Daniele aveva avuto questa idea, mi hanno chiamato in quanto ero squalificato e mi hanno detto che volevano fare questa cosa. Volevano fare un cartellone un po’ simpatico da mettere sui social. Io ovviamente non avevo social all’epoca e allora mi è venuta questa idea, ho detto «dai dopo ti invio una foto anch’io». Ero per strada con il cane e dopo una cosa tira l’altra ed è uscita questa foto che poi ha fatto il giro ovunque. Ebbe un successo clamoroso”.
Di quell’anno ci sono tante immagini. Ad esempio prima della semifinale quando lei e i suoi compagni portate i cornetti ai tifosi in fila per fare il biglietto. Che voleva dire quel gesto?
“Penso che non sia tanto il gesto in sé, ma penso che faccia capire l’importanza che ha avuto la situazione e il cuore di tutti, di noi e dei tifosi del Bari. In quella situazione si era creato veramente un tutt’uno, tra squadra e città . Quello penso che sia stato uno dei tanti segni, dei tanti simboli che hanno caratterizzato quel momento, perché veramente lì si è capito l’unicità di questa cosa, del rapporto tra noi e la città che era esplosa, quella voglia di ritornare allo stadio e di rivivere quei momenti magici”.
Apriamo un cassetto doloroso: la semifinale col Latina.
“Non voglio tornarci sopra, ma le immagini sono lì e chiunque le può vedere. Ricordo la gente che ci aspettava al ritorno. Ed è sempre lo stesso discorso, perché comunque lì capisci veramente cosa siamo stati l’uno per l’altro, la squadra per la città e la città per la squadra. Abbiamo sofferto, ci siamo divertiti e abbiamo gioito tutti insieme. E il vedere così tanta gente dopo una sconfitta, l’ho capito tanto tempo dopo, è stato veramente il gesto più grande. Secondo me se arrivavamo in Serie A sarebbe stato l’apice, però lì ho capito veramente come abbiamo riportato la passione ai tifosi, un popolo che l’aveva persa negli anni con tutte le vicende di calcio scommesse e quant’altro. Penso che quella sia stata la vittoria finale”.
Il Bari con i playoff non va tanto d’accordo. Ha visto la finale col Cagliari l’anno scorso?
“Sì, l’ho vista, l’ho vista. Mi dispiace davvero tantissimo, ma penso che quest’anno i ragazzi possono dire ancora loro, il campionato è ancora lungo. Dopo un campionato come l’anno scorso non era così scontato ripetersi, però penso che il Bari sia una delle candidate ad essere ancora lì davanti per provarci anche quest’anno”.
Chi è il giocatore più forte con cui ha giocato a Bari?
“Sono legato tanto soprattutto a quei tre anni e in quei tre anni secondo me Ciccio Caputo era il giocatore che aveva la marcia in più. Infatti l’ha dimostrato in seguito. Penso che lui sia stato veramente il giocatore più forte o comunque quello che aveva più prospettiva. Anche se dopo è uscito Diego Polenta che ha fatto una carriera pazzesca, lo stesso Cepitelli ha giocato per anni in A, Sabelli ci gioca ancora. Però comunque Ciccio nonostante tutto quello che ha passato si è meritato una carriera del genere”.
Sbagliamo nel dire che il gol più bello di Defendi in carriera è stato contro il Bari?
“Fortunatamente ne ho fatti diversi belli in carriera. Altri mi ricordano anche di un Atalanta-Crotone, che è stato un gol bellissimo. Sì è vero, quello con il Bari è stato bello, penso che sia stato il più bello con la Ternana, però con il Bari mi ricordo anche la doppietta contro il Padova. Sicuramente è stato il più pesante”.
Che sfide sono state quelle tra la sua Ternana e il Bari?
“Per me è sempre stata una grande emozione tornare al San Nicola e giocare contro il Bari, perché ripeto il Bari per me è un pezzo di cuore, questo è fuori da ogni dubbio”.
Che immagini Defendi si porta dentro di Bari?
“I 60.000 del San Nicola e le uscite in barca. Penso che l’emozione che ho provato davanti ai 60.000 non ha prezzo. Quegli ultimi mesi sono stati qualcosa di straordinario”.