Bari-Venezia, l’analisi: la sorpresa dei lagunari, la sterilità del secondo tempo e l’importanza di Achik

L'analisi di Bari-Venezia

Sotto la pioggia scrosciante caduta su Bari nel pomeriggio di sabato, i biancorossi incappano nella terza sconfitta stagionale, la seconda in casa dopo quella subita contro il Parma nel turno di Coppa Italia agostano. Senza particolari patemi, il Venezia ha prima raggiunto il vantaggio e poi gestito la gara fino al tracollo finale dei biancorossi. Lo 0-3 certifica il gap tecnico, tattico e atletico che separa le due squadre, e apre un’altra settimana di serrati dibattiti su quale sia il valore di questo Bari.

Per analizzare la gara torna il Bari a Scacchi, la rubrica attraverso cui vivisezioniamo il match di giornata. A cura di Giovanni Fasano Gianluca Losito.

San Nicola Bari
Copyright: SSC Bari

La sorpresa del 4-3-3 veneziano e le risposte del Bari

La partita inizia rivelando al Bari la prima sorpresa dell’incontro: il Venezia non si schiera con il consueto 4-4-2, come aveva fatto nelle precedenti partite e del resto ci aspettavamo nel pre-partita, ma con un 4-3-3 con i due fantasisti Pierini e Johnsen larghi e Gytkjaer centrale, con Busio mezzala destra e Ellertson sul centrosinistra.

Il primo spunto dell’incontro arriva proprio su questa direttrice: Busio si inserisce senza palla sul lato corto dell’area di rigore ricevendo un’imbucata, non seguito da Benali; serve Johnsen che, tagliando centralmente, non riesce però a centrare la porta.

L’obiettivo del Bari è principalmente quello di non fare arrivare il pallone alla fonte primaria del gioco dei lagunari, ossia il regista Tessmann. Per farlo, gli uomini di Marino tengono il tridente (composto da Aramu sul centrodestra, Nasti centrale e Sibilli sul centrosinistra) molto stretto e ordinato. La linea è sempre bassa, ma, soprattutto nella prima batteria di pressione, non è passiva, riuscendo così a limitare il play statunitense nel primo tempo.

Le scalate nel pressing sono anche ben riuscite: il Venezia prova ad uscire passando dai terzini, ma Ricci è puntualissimo su Candela, mentre a sinistra un Zampano in giornata no non approfitta particolarmente di un Dorval più svagato.

Il gol arriva da un’invenzione vera e propria di Johnsen, che approfitta di una leggerezza del blocco di destra (Dorval, Koutsoupias e Pucino), scende sulla sinistra come fosse a St. Moritz e serve proprio Zampano che mette in mezzo per Pierini. La parte finale dell’azione sembra quella dell’errore del norvegese, ma specchiata: questa volta però dall’altro lato c’è il dirimpetto Pierini, molto più cinico di Johnsen.

Pierini Venezia Bari
Copyright: Venezia FC

Il secondo tempo di gestione del Venezia e la sterilità del Bari

Se nel primo tempo il Bari è rimasto aggrappato alla partita dando l’impressione, in un modo o nell’altro, di poter creare qualche grattacapo al Venezia, la ripresa ha trasmesso un senso di impotenza e incompiutezza difficilmente spiegabile. Riducendo all’osso la seconda frazione, al Venezia è bastato abbassare i ritmi per narcotizzare una partita che il Bari non ha mai cercato di recuperare. Prima di ogni disamina tattica, è stato l’atteggiamento avuto dai biancorossi a gettare ombre sul futuro del campionato.

Come se la sconfitta fosse ormai accettata e inevitabile, gli uomini di Marino si sono piegati alla volontà del Venezia, trascinandosi per il campo senza offrire particolari sussulti. Limitato da un sistema che, contro difese schierate, sovraccarica di responsabilità offensive giocatori abituati a battere altre zone di campo, il Bari non è mai riuscito a disordinare un Venezia ermetico nella sua disposizione.

Ad impressionare è stato il gap atletico tra il centrocampo dei lagunari e quello dei biancorossi, acuito dal finale in crescendo dell’onnipresente Tessmann. Il mediano statunitense, il cui status è ormai troppo grande per la Serie B, ha diretto il centrocampo con ordine in fase di uscita e con vigore nelle brevi fasi di difesa posizionale. Nella sua zona gravitava spesso Sibilli, che però a differenza delle precedenti gare non è quasi mai riuscito a ricavarsi lo spazio per mirare la porta.

A rendere ancor più inoffensivo il Bari sono state le scelte e le non scelte di Marino, sempre troppo schematico e conservativo nella gestione dei cambi. Achik, di cui parleremo dopo, è stato l’unico in grado di garantire imprevedibilità e freschezza alle sporadiche sortite offensive, ma il resto dei cambi sono giunti con ritardo e hanno palesato una certa confusione.

Seppur in svantaggio a 10 minuti dal termine, Marino non ha rinunciato a nessuno dei tre centrali, preferendo togliere Dorval e spostare un Pucino in evidente debito d’ossigeno nel ruolo di terzino destro. L’ex terzino dell’Ascoli non ha garantito ad Achik, nel frattempo spostato a destra, quell’apporto che sarebbe stato necessario per creare superiorità.

Di fatto, la mossa delle due punte non ha sortito alcun effetto, perché le vie centrali erano intasate dal centrocampo del Venezia e sulle fasce sia Sibilli che Achik erano troppo isolati per creare qualcosa, soprattutto nel momento in cui è subentrato Akpa Chukwu.

Achik allenamento
Copyright: SSC Bari

L’importanza di Achik

Ad oggi è difficile immaginare un Bari attivo offensivamente senza Ismail Achik nell’undici titolare. Il natìo di Casablanca, dopo il gran gol di Piacenza, è stato protagonista di un altro ingresso molto positivo, sia quando cerca palla a sinistra che quando scende a destra.

Come nella maggior parte delle occasioni nelle quali lo si è visto in campo a Bari, l’ex Cerignola ha stazionato più spesso a sinistra. Nonostante si vede che non sia una posizione nelle corde del numero 19, il classe 2000 mostra una versatilità tecnica e una disponibilità tattica da applausi, giocando a rientrare sul destro, da cui poi cerca il cross tagliato; soluzione, quest’ultima, non adatta alle corde degli attaccanti del Bari.

Più dell’aspetto tecnico, promette bene la caparbietà con la quale Achik contende il pallone, anche quando ne perde la disponibilità, cercando spesso di riguadagnarlo con un coinvolgimento atletico-mentale che mostra come sia già entrato nel mindset di un calciatore di Serie B.

Il calabrese d’adozione va molto meglio a destra, dove con finte e dribbling riesce a mettere cross più tesi e alti. Nonostante ciò, continua a non essere questo il contesto ideale per giudicare Achik; un calciatore che, come ci ha raccontato Pazienza due mesi fa, si esalta negli spazi, non può essere valutato a pieno per spezzoni di gara nei quali le avversarie si chiudono a riccio e trovare uno spiraglio è un’impresa non da poco

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By Giovanni Fasano

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