Quella che sta per concludersi è stata per il Bari una stagione tragicomica, degna di ispirare un nuovo Allenatore nel Pallone, con la speranza di un lieto fine simile a quello dei celebri film che salvi la città da un incubo. Una retrocessione che aprirebbe un vaso di Pandora difficile da richiudere senza doverosi mea culpa da parte della società seguiti da progetti e azioni concrete.
In un mondo ideale, un club come il Bari, con la sua grande tradizione calcistica e con alle spalle un’annata in cui si è sfiorata la A, avrebbe dovuto preparare una stagione che doveva e poteva essere quella del riscatto. Purtroppo, però, questo non è un mondo ideale. La situazione del Bari, la sofferenza patita ogni fine settimana speso ad assistere ad una squadra senz’anima, incapace di esprimersi e costruita a casaccio con elementi andati a prendere chissà dove senza alcun motivo apparente, hanno evidenziato tutto il marcio del calcio moderno in cui grandi piazze vengono condannate alla mediocrità sotto il giogo di proprietà incompetenti, o peggio, svogliate, magari proprietarie già di altri club a cui aggregare quelle piazze come squadre B, costrette a vivere eterni periodi di limbo senza ambizioni, a volte spogliate persino della loro identità.
Basta farsi un giro nelle serie minori inglesi per incontrare casi come quelli del Reading o dello Sheffield Wednesday, vittime di proprietà straniere poco interessate alla storia dei rispettivi club che gestiscono in maniera che rasenta il dilettantistico. In altri casi a spasso per l’Europa, le multiproprietà hanno cancellato decenni di storia come nel caso dello Sport Verein Salzburg, divenuto Red Bull Salzburg nel 2005 dopo l’acquisto da parte del colosso di bevande energetiche che lo ha inserito nel gruppo di squadre oggi composto da Red Bull Lipsia, New York Red Bulls, Red Bull Brigantino e proprio Red Bull Salzburg.
In questi casi, come quelli del City group a cui da un paio d’anni appartiene anche il Palermo assieme al fenomeno Girona, non si può certo parlare di malagestione, ma il caso dello Sport Verein Salzburg e i dubbi più che legittimi che sorgono sul futuro del Palermo come squadra libera di ambire un giorno a sfidare il City di Guardiola rendono chiari i problemi delle multiproprietà.
In tal senso, il caso del Bari è particolarmente emblematico: la multiproprietà è ulteriormente limitante in quanto presente solo sul suolo nazionale italiano e non esercitata su vari club in giro per il globo con tutte le conseguenze ormai risapute e, per infierire ancora di più, Bari e Napoli sembrano legate da un rapporto improvvisato in cui gli unici a guadagnarci sono i partenopei, col Bari lasciato a costruirsi da solo con budget risicati, un progetto triennale senza capo né coda e senza poter sistematicamente attingere al bacino (già limitato rispetto ad altre società) di talenti della società campana, fatta eccezione per rari casi come quello fortunato di Folorunsho.
Il Bari, quindi, unisce un po’ il peggio dei casi descritti poc’anzi in un perfetto esempio di come il calcio si sia sempre più allontanato dai valori umani che dovrebbe rappresentare, di sport in cui le differenze di classe si annullano e in cui una comunità può identificarsi nei successi di un club magari gestito da imprenditori provenienti dalla comunità stessa, innamorati della propria terra. L’obiettivo da centrare per liberarsi da questo incubo è chiaro, ma il suo conseguimento dipende e verosimilmente dipenderà da ciò che converrà alle tasche dell’attuale proprietà.
Francesco Guarino
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