A 120 secondi dal paradiso… Bari-Cagliari, un anno dopo

Il ricordo di Bari-Cagliari

Cade oggi l’anniversario di Bari-Cagliari, la gara che resterà nel cuore di tutti i tifosi biancorossi per l’eternità. Una cicatrice che chiunque si porterà dietro per anni. Vogliamo proporre ai nostri lettori il racconto scritto dopo qualche ora del nostro direttore Claudio Mele per medium.com, dal titolo: A 120 secondi dal paradiso.

Maita Bari-Cagliari
Copyright: SSC Bari

Bari-Cagliari, un anno dopo

Scorrono le ore, i minuti, i secondi, ma il cuore resta lacerato. Sono riuscito a prendere sonno, seppur chiudendo gli occhi in queste notti avessi nella mia mente sempre quelle maledette immagini. 22 scemi che corrono dietro un pallone, è la più classica delle definizioni di chi non ha mai provato nella propria vita il gusto di tifare. La sensazione di spingersi oltre i propri limiti, condividere con sconosciuti una passione e bramare un desiderio che scambieresti con la tua anima pur di vederlo realizzato. Emozioni e pensieri che in pochi — per fortuna — conoscono e che i più (altrettanto fortunatamente) ripudiano. Come spiegare, a chi vede il calcio come mero intrattenimento, le lacrime di chi mi stava accanto alle 22.23 di domenica sera per un misero Bari-Cagliari?

Un pianto sfrenato, ininterrotto, di un amico che fino a qualche secondo prima stava toccando il cielo colmo di nuvole nere di pioggia del San Nicola con un dito. Stringe tra le mani il suo zaino da lavoro, io non ho la forza di andare a consolarlo. Sono pietrificato. Sul campo il signor Guida aveva decretato la fine della partita, con tutto il Cagliari che ancora una volta festeggiava a più non posso sul manto erboso dell’Astronave. Un déjà vu che avevo vissuto già sette anni prima.

Dal cielo non cade più nessuna goccia, Caprile nero di rabbia rientra da solo negli spogliatoi gettando a terra i suoi guanti, gli stessi con cui nel corso dei novanta minuti aveva compiuto almeno due miracoli. I suoi compagni sono riversi a terra, immobili mentre vanamente i direttori di gara si avvicinano nel tentativo di stringere loro la mano. Tutto mentre Claudio Ranieri, dall’alto dei suoi 71 anni, sgorga fiumi di lacrime, questa volta di felicità. I 60.000 del San Nicola, invece, paralizzati. Ho tuttora in mente una fotografia che difficilmente dimenticherò. Pavoletti, su invito di Zappa, gonfia la rete.

Elia Caprile
Copyright: SSC Bari

I ragazzi della curva, le due tribune, anche i più tepidi sostenitori della Sud, passano in un secondo dai canti e i cori per Cheddira e soci al silenzio tombale. Non si salta più. Non si agitano più le mani per sventolare le bandiere. Non vola una mosca. Neanche le bestemmie. No, il silenzio è assordante. In sottofondo si può solo ascoltare il giubilo dello spicchio dei tifosi del Cagliari, fino a quel momento domati dalla passione barese. Era il 94′, mancavano appena 120 secondi. Due lunghi minuti, che avrebbero significato Serie A. Paradiso.

Il destino ha voluto che si siano trasformati nel più grande incubo della storia del Bari, club da sempre foriero di sventure. E se nel frattempo qualcuno va ad abbracciare il mio amico ancora in lacrime, io proprio non ci riesco. Posso solo osservare il pubblico stridulare “Venite sotto la curva” ai propri eroi, ancora riversi sul manto erboso immobili. Sollevati a forza dai compagni che erano rimasti per novanta minuti in panchina, in un misto di incredulità e stupore, mentre nalla metà campo avversaria i cagliaritani giustamente tripudiano a più non posso, ecco allora che si avvicinano alla Nord. Quei maledetti passionali tifosi baresi, che si sono fatti trasferte infinite in tutti gli antri d’Italia negli ultimi cinque anni, cantano “Siamo sempre con voi, non vi lasceremo mai”.

Mignani Bari-Cagliari
Copyright: SSC Bari

Caprile è tornato, non ho visto quando, ma è inginocchiato a terra nella sua canotta nera e urla straziante, mentre Frattali prova a consolarlo vanamente. Pucino ha le mani in testa, gli altri sui fianchi, mentre osservano le bandiere di nuovo sventolare. Cheddira, che al triplice fischio era scoppiato in un pianto fragoroso, si siede a terra e osserva la Nord. Quella che per due anni aveva gridato il suo nome ogni volta che avesse segnato. Nel frattempo ha ripreso a piovere, ma piovono lacrime anche dagli occhi di tutti i calciatori, mentre guardano sgomenti in alto. Mi colpisce Maiello, mai l’ho visto così abbattuto. Piangono anche dagli spalti, piangono di gioia anche gli avversari. Mancavano 2 minuti, 120 secondi. Evidentemente doveva andare così, come ha detto poi Mignani. Io non ho pianto, non ho riversato ancora una lacrima.

Ma ho giurato di non rivedere mai più quel gol, né il palo interno di Folorunsho 7 minuti prima. Quelle immagini mi accompagneranno per diverso tempo, ne sono sicuro. È questa l’essenza del tifo, che solo chi lo vive può capire. Ecco, se dovessi spiegare a qualcuno cos’è il calcio, rispondere perché segui il calcio, perché scrivi di calcio, gli parlerei di questa notte. Davanti a un buon caffè. Gli racconterei dell’andata di Cagliari, delle preghiere al calcio di rigore di Antenucci e a tutte le gastime che si è preso Radunovic. Gli parlerei della semifinale di ritorno col Sudtirol, quando sono riuscito a convincere la mia ragazza a venire in tribuna a distanza di anni. E gli parlerei di questa notte. Di quei due minuti. Di quei 120 secondi. E del gol di Pavoletti, che ha rotto quell’incantesimo. E di quel silenzio tombale. E delle lacrime di chi mi stava vicino. Bari-Cagliari, un anno dopo fa ancora male.

By Claudio Mele

Ho un assegno di ricerca in matematica, sono anche un insegnante di matematica e fisica. Nel tempo libero faccio il giornalista (con scarsi risultati)

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